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NEWS del 05/06/13


Conciliazione per i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo

La Legge 28 giugno 2012, n. 92 (Riforma Fornero) ha introdotto alcune importanti novità in tema di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, intendendosi per tale quello determinato da ragioni inerenti l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa.
L’art 1, comma 40, della L. 92/2012, modificando l’art. 7 della L. 604/1966, prevede infatti che il datore di lavoro, avente i requisiti dimensionali di cui all’art. 18, comma 8, della Legge 300/1970 (sopra i 15 dipendenti), che intende procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo di un lavoratore, debba comunicare preventivamente alla Direzione Territoriale del Lavoro (DTL) territorialmente competente (si considera il luogo dove il lavoratore presta la sua opera), e per conoscenza al lavoratore, l’intenzione di procedere al licenziamento, i relativi motivi nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore.
Il momento di avvio della procedura coincide con la data di ricezione della comunicazione da parte della DTL.
Ricevuta la predetta comunicazione, la DTL provvede a convocare le parti (datore di lavoro e lavoratore) innanzi al Commissione Provinciale di Conciliazione di cui all’art. 410 c.p.c. entro il termine perentorio di 7 giorni dalla ricezione della richiesta.
Il tentativo obbligatorio preventivo di conciliazione, durante il quale le parti e in particolare la Commissione procedono ad esaminare soluzioni alternative al recesso, si deve concludere entro 20 giorni dalla data di trasmissione della convocazione da parte della DTL.
In sede di convocazione, le parti possono essere farsi assistere anche da un Consulente del Lavoro.


In caso di esito positivo della conciliazione con accordo di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, si applicano le disposizioni in materia di ASPI. Può essere altresì previsto l’affidamento del lavoratore ad una agenzia per il lavoro al fine di favorirne la ricollocazione.
Nel caso di soluzioni diverse dalla risoluzione (ad es. trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale, trasferimento ecc), si procede alla relativa verbalizzazione che diventa inoppugnabile.

In caso di esito negativo della conciliazione per mancata convocazione da parte della DTL o per assenza del lavoratore non giustificata da idoneo motivo o in caso di fallimento del tentativo di conciliazione per mancato accordo, il datore può comunicare il licenziamento al lavoratore, con effetto a decorrere dalla data di ricezione da parte della DTL della comunicazione con cui il procedimento è stato avviato, salvo il diritto del lavoratore al preavviso o alla relativa indennità sostitutiva al netto dell’eventuale periodo lavorato.
Il legislatore ha voluto neutralizzare eventuali effetti sospensivi del licenziamento in caso di malattia del lavoratore facendo salvo l’effetto sospensivo del licenziamento solo in caso di maternità o di infortunio sul lavoro.

Il comportamento complessivo delle parti, desumibile anche dal verbale redatto in sede di Commissione Provinciale di Conciliazione e dalla proposta conciliativa avanzata dalla stessa, è valutato dal giudice per la determinazione dell’indennità risarcitoria ex art. 18, comma 7, della Legge 300/1970 e s.m.i. e ai fini delle spese di giudizio.

In caso di mancato accordo e di successivo giudizio sfavorevole al datore di lavoro, lo scenario si apre a due possibili esiti, stante il nuovo riformato articolo 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300 che offre oggi al giudice la possibilità di ricostruire la fattispecie posta a base del licenziamento impugnato ed eventualmente decidere di disapplicare nel caso concreto la tutela reale, pur riconoscendo le ragioni del lavoratore. I due possibili scenari sono i seguenti:

  • CASO MENO GRAVE: il giudice accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo oggettivo, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici a un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, oltre che delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione.

    Esempi (indennità risarcitoria) (1) :

    - quando, pur in presenza di un’effettiva soppressione del posto di lavoro e della prova positiva dell’impossibilità del repechage, la crisi economica che giustifica il licenziamento non ha qual carattere di serietà che la giurisprudenza richiede, perché è congiunturale e non strutturale, o diretta soltanto ad incrementare i profitti, o non è particolarmente grave (in relazione alla situazione patrimoniale, ai dati di bilancio ecc.);
    - nel caso di soppressione del posto effettiva, ma con sostituzione del lavoratore con uno meno costoso;
    - nell’ipotesi in cui non è possibile affermare con assoluta certezza che la soppressione del posto non vi sia stata o che sia realmente impossibile il repechage e la situazione è dubbia.

  • CASO PIU’ GRAVE: il giudice accerta la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello della effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell’indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato altresì al pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall’illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative.

    Esempi (manifesta insussistenza e reintegra) (1): quando è carente la ragione economica ed organizzativa o essa, pur presente, non ha un rapporto causale con il licenziamento:

    - soppressione di un posto di lavoro che non è stato eliminato (assunzione di un altro lavoratore che svolge medesimi compiti ed a costi identici o analoghi; attribuzione delle mansioni ad un altro dipendente alle stesse condizioni; assenza della effettiva esternalizzazione delle mansioni soppresse);
    - mancata prova, da parte dell’impresa, della impossibilità di repechage. L’art. 3 L. 604/1966 presuppone una scelta organizzativa – insindacabile nei suoi profili economici – che rende inutilizzabile il lavoratore nella struttura aziendale anche in mansioni diverse o inferiori. Il repechage è nel gmo ed esprime il bilanciamento tra iniziativa economica e sicurezza del lavoratore (art. 41, c. 2, Cost.);
    - assenza della ragione economica che giustifica il recesso, perché la causale è pretestuosa o si tratta di una condizione di crisi economica o di una riorganizzazione inesistente (l’impresa non ha diminuito le commesse, produce utili, utilizza in modo intensivo lo straordinario, non ha perdite di bilancio, ha assunto nuovi lavoratori, la modifica organizzativa non è effettiva ma solo apparente, ecc.).

    Dunque, quanto emerge è che accanto alla tutela reale, comunque riaffermata nei casi più deplorevoli di licenziamento illegittimo, si affianca una nuova misura sanzionatoria data dall’indennità risarcitoria che sarà determinata in via equitativa dal giudice, tra un minimo e un massimo stabiliti, con valore di compensazione forfettaria della perdita del posto di lavoro.

    In conclusione, si evidenzia che nell’ipotesi di licenziamento dichiarato inefficace per violazione del nuovo obbligo datoriale di richiedere il tentativo preventivo di conciliazione, il giudice applica la sanzione descritta nel primo dei due casi (indennità risarcitoria onnicomprensiva), ma con attribuzione al lavoratore di un importo determinato, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, pur potendo il lavoratore far valere comunque il difetto sostanziale di giustificazione del licenziamento.

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    (1) V. Speziale, Il licenziamento individuale tra diritto ed economia, testo della relazione presentata al Convegno nazionale del centro studi Domenico Napoletano, Pescara, 11 e 12 maggio 2012, p. 48-49 del dattiloscritto


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