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NEWS del 26/06/13


La certificazione come strumento di difesa preventiva

L’istituto della certificazione dei contratti, originariamente introdotto dagli articoli da 75 a 84 del D.Lgs 276/2003, nasce con il dichiarato intento di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei soli contratti di lavoro tassativamente elencati (contratto intermittente, ripartito, a tempo parziale, a progetto, di associazione in partecipazione) nonché, dinanzi talune specifiche commissioni di certificazione, dei rapporti di lavoro disciplinati con regolamento interno delle cooperative e dei contratti di appalto di servizi e di opere.

Successivamente, con il D.Lgs 251/2004 la finalità deflattiva del contenzioso viene estesa alla generalità dei contratti di lavoro per poi abbracciare tutta l’altra metà del cielo rappresentata dai contratti in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro, ex art. 75, comma 1, D.Lgs 276/2003, come modificato dalla L. 183/2010.

A seguito di tale modifica, la certificazione dei contratti si presta ad essere utilizzata per ciascuna tipologia contrattuale, tipica o atipica, nominata o innominata, in cui sia dedotta anche solo indirettamente una prestazione di lavoro.

Sebbene la Legge Biagi e il relativo decreto attuativo non si pronuncino espressamente sulla possibilità di certificare i tirocini, non manca autorevole dottrina (1) (2) che li ritiene certificabili in relazione alla prestazione svolta.

La certificazione è un ottimo strumento di difesa preventiva che non blocca l’ispezione ma ne riduce il potere rispetto al passato.

Fino a quando permangono gli effetti della certificazione, gli organismi di vigilanza non possono adottare atti o provvedimenti amministrativi da cui derivino una diversa qualificazione del rapporto di lavoro e, per l’effetto, la contestazione dei risultati dell’attività certificata svolta.
Il contratto certificato acquisisce, dunque, una sorta di certezza pubblica, da cui deriva, fino alla sentenza di merito, una presunzione giuridica di corrispondenza tra quanto forma oggetto di certificazione e quanto realmente avvenuto in costanza di rapporto di lavoro.
Così l’ispettore ben potrà esaminare un contratto certificato e, ove sia in possesso di prove idonee a contestare la natura e la qualificazione del rapporto di lavoro, procederà alla rituale verbalizzazione della irregolare manifestazione del rapporto di lavoro: tuttavia da tale verbale non potranno scaturire contestazioni o notifiche di illecito amministrativo, né recuperi previdenziali o assicurativi, né sanzioni fiscali o di altro tipo.
Unico esito della verbalizzazione e dell’accertamento retrostante sarà l’eventuale attivazione, da parte del lavoratore interessato o dei terzi, dei rimedi giudiziari per annullare la certificazione e ottenere la corretta qualificazione, ad esempio in termini di subordinazione, del rapporto di lavoro esaminato. Ma tutto questo presuppone l’esistenza di prove sufficienti a convincere il giudice adito.
Per tale ragione, soprattutto nelle regioni dove i servizi ispettivi sono particolarmente vivaci, la certificazione dei contratti è uno strumento di difesa preventiva che può mettere al riparo da disconoscimenti frettolosi non suffragati da prove idonee.

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(1) M. TiraboschiTirocini: la certificazione come soluzione rispetto alle troppe incertezze – Bollettino ADAPT del 03/04/2013
(2) P. Rausei – Incontro di studio del 17/05/2013 organizzato dall’ANCL di Chieti in collaborazione con l’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Chieti c/o la sala convegni della Carichieti di Chieti Scalo



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